Trentadue anni fa cadeva il Muro di Berlino, evento salutato con entusiasmo soprattutto a destra perché collegato al sogno di poter costruire, dopo i drammi delle due guerre mondiali, un’Europa finalmente unita, alleanza tra popoli cooperanti per un progetto comune.
Trentadue anni dopo c’è da prendere atto che abbattere il Muro di Berlino è servito a poco nulla. Quella speranza è stata disattesa. Quel solco che fino al 1989 divideva l’Europa consegnandone un pezzo al controllo dell’Unione Sovietica (e l’altro a quello degli Stati Uniti) è stato sostituito da un altro solco meno evidente ma più subdolo: la competizione suicida tra nazioni europee.
Nel nome del finto europeismo è stata data infatti all’Europa un’organizzazione politica fatta apposta per non funzionare, per non unire. L’idea di procedere con un federalismo imposto artificialmente dall’alto, senza il coinvolgimento dei popoli, e utilizzare come collante la moneta è stato infatti un “errore” premeditato: l’obiettivo non era fare dell’Europa un soggetto geopolitico solido, incubo di tutte le altre superpotenze, bensì quello di anestetizzarla trasformandola in un’arena commerciale.
Ecco perchè dunque dalla cassetta degli attrezzi è stato subito eliminato l’unico strumento in grado di riparare le ferite europee, cicatrizzarle e creare una coesione tra popoli: l’identità, l’appartenenza a un destino condiviso. L’identità è diventata anzi in Europa, negli anni, l’elemento diabolico da esorcizzare per trasformare le comunità in aggregati di individui, i cittadini in consumatori.
Così facendo, mentre le sue nazioni si scannavano tra loro a suon di guerre commerciali, concorrenze fiscali sleali, sgambetti geopolitici sui teatri esteri ecc., le altre superpotenze venivano nel nostro continente a banchettare, a spogliarci della nostra demografia, cultura, industria, lavoro, conoscenza, tecnologia. Persino dei nostri confini. Persino del Mediterraneo.
Il sogno di un’Europa forte, coesa, autonoma nella scelta del proprio futuro si è infranto per trentadue anni contro lo scoglio dell’agenda di chi ha scientemente lavorato per consegnarci un’Unione Europea che le sinistre – le quali sognavano di restare soggiogate al comunismo sovietico – potessero venerare proprio perchè lontana da quell’Europa che rigettavano; e le destre – le quali sognavano l’Europa dei popoli – potessero detestare proprio perchè opposta a quel progetto europeo identitario che desideravano. Compiendo così il miracolo di far apparire gli antieuropei per europeisti e i proeuropei per antieuropeisti.
Trentadue anni dopo, è compito della destra liberarsi da questa trappola e tornare a rivendicare il ruolo di unico alfiere del destino europeo: in un momento cruciale per il nostro continente tra Brexit, Covid, conflitto USA-Cina, crisi demografiche, pressioni migratorie e scontri di civiltà, lasciare le redini del futuro d’Europa nelle mani delle sinistre sarebbe un suicidio.